martedì 22 gennaio 2019

Struggente malanimo

Dita adunche e oscure avvolgevano quel cuore pulsante.
Stringevano forte, troppo forte, spremendo sino all'ultima goccia di tenerezza.
Impossibile definire il tempo e lo spazio di quell'istante.
Tutto vorticava dentro il petto, alla stregua della lava di un vulcano in procinto di eruttare.
Quelle dita massacravano e da ogni spazio libero colavano rimasugli di emozioni intestine.
Febbre, rabbia, tristezza.
Un dolore sordo, in grado di percuotere il corpo, rendendolo inerme, preso di mira da calci e pugni invisibili.
Solo un grande vuoto, un tuffo profondo.
Faceva male.
Impossibile fu conciliare un sonno sì tormentato; lacrime calde scesero copiose nella fredda notte di gennaio.
Non vi era pace nell'animo.

Poi, l'alba soggiunse.
Con sé portò un lieve e tremolante raggio di sole.
La luce docile, inconsapevole d'essere stata la causa scatenante di ogni cosa, indagò spaesata su quella pena senza fine, interrogandosi a lungo sui motivi che impedivano alla giovane anima di risplendere.
Tale premura fu devastante. Non c'era altro che potesse guarire, perché soltanto quella presenza importava. La stessa che aveva distrutto la gioia, era l'unica in grado di farla rifiorire.

Dapprima, comunque, nulla mutò.
Non era facile, d'altronde, sciacquarsi via tutto il dolore provato nelle tenebre... e l'essere umano, si sa, prima d'esser vestito dei suoi abiti, indossa sommi capi di timori e vergogne.

Eppur anche queste si dissiparono, poco a poco, lasciando spazio alla luce tiepida di entrare a riscaldare un poco l'ambiente divenuto gelido.
Con dolcezza, qualcosa cominciò a spiegarsi; almeno quanto bastava affinché i tormenti potessero lenirsi.

E poi?

Sarebbe sciocco affermare che la giovane anima tornò quieta.
Si rannicchiò, piccola, in un sudario costruito da lei stessa, su misura per poterci restare senza aver bisogno di niente.
Come le castagne dentro i propri ricci caduti per strada, nelle giornate d'autunno.

La luce aveva ridato un barlume di speranza, anche se flebile, ma era tutto ciò per cui valesse la pena rimanere aggrappati.
Si prospettava un cammino difficile, minacciato dal ritorno dei tormenti ancor troppo vividi.
Ostacoli che, tuttavia, non bastavano a farla desistere.

Stolta, l'avrebbero chiamata.
In caduta libera verso il fallimento.
Ma a lei non importava.

sabato 20 ottobre 2018

Ode a me stessa

Passi le tue giornate cercando di mascherare quanto sia difficile questa vita.
Ascolti canzoni che parlano d'amore senza avere qualcuno a cui dedicarle, ma ti va bene così.
Ti tuffi nella poesia, in ciò che vi è di più romantico, perché sai che quel pizzico di dolcezza ti aiuta.
Eppure respingi la tenerezza come l'onda di un mare sul bagnasciuga, che lava via le scritte sulla sabbia.
Poi ti stupisci quando gli altri fanno lo stesso con te.
Dove andrai?
Hai compreso il valore delle piccole cose.
Sai quanto sia forte il significato di uno sguardo, non ti crea più indifferenza un gesto di conforto.
Hai conosciuto il dolore e il senso di abbandono.
Ti sei rafforzata.
Chi ha veduto quanto è dura, adesso, la tua scorza?
Chi lo ha accettato... e quanto t'importa davvero la risposta?
Ben poco.
Continua così, non hai bisogno delle conferme di nessuno, se non di te stessa.
Hai capito che la vita è fatta di attimi e che alcuni di essi non sempre ricapiteranno.
Vivi con passione.
Vivi decisa nella tua fragilità.
Soprattutto, non mostrarla agli altri.
Ascolta la voce della natura, ritrova nel grido del vento le parole di chi non vi è più.
Fatti forza.
Consolati, aiutati.

Da sola, perché sai che questa è la tua più intima battaglia.
Non puoi permettere a nessuno di combatterla per te.
Diventa fuoco, diventa acciaio.
Forgiati nell'ardore dell'esistenza.
Trova gioia nelle briciole, conservale per farne scorta durante l'inverno.

Scenderà la neve e tutto del tuo dolore ricorderanno quei fiocchi bianchi.
Il passato tornerà a picchiettare sui vetri appannati.
Tu sii pronta, sii forte.

Vincerai anche stavolta.
Rimani salda.
E non aver paura.

lunedì 8 ottobre 2018

Uggiosità autunnale

Uggioso è il tempo, fredda l'aria che nei polmoni circola e porta con sé storie di fascine bruciate e di umidi boschi mai toccati dai raggi del sole.
Si scorgono i fumi che risalgono sino in cielo, da quelle colline che non sono mai troppo vicine, eppure ostruiscono la vista verso l'orizzonte.
Montagne e alture che s'innalzano al di sopra di ogni incredulità umana e mostrano la potenza naturale di ciò che può creare la materia, la roccia acuminata.
L'autunno è per coloro che accettano di essere più deboli delle montagne.
E' per chi non ha paura di varcare le soglie dei propri pensieri, e lì rimanervi in una matassa di riflessioni da cui è difficile tornare integri.
Ogni meditazione è una mutazione dell'animo, si smussa come un diamante mai perfetto, che non troverà invero il giusto equilibrio.
Oscillerà sempre verso ciò che può esser giusto o sbagliato, ma cambierà la forma, anche se di poco, e continuerà a vorticare in mezzo ai fili di seta che sono i pensieri.
Una seta pregiata che nessuno può toccare, ma solo intuire.

Pensieri.
A volte vorremmo fermarli e smettere di sentire la nostra stessa voce nella testa, ci disperiamo perché non è realmente possibile farlo. Ci chiediamo perché, ci sentiamo costantemente tormentati dall'io che risiede nel nostro cervello.
Nella nostra materia che è dura e acuminata come le antiche montagne. 
Impossibile da frenare, impossibile da spezzare, poiché mossa da quell'invincibile artefatto di nome Forza d'Animo.

Ritorniamo a ottenere il senso del tutto, pian piano, dopo essere usciti dalle porte della mente. 
Pieni di ferite, ammaccati in ogni dove, poiché lì dentro nessuna parte di noi stessi è salva dall'analisi della psiche. 
Torniamo consapevoli di ciò che sbagliamo, dei nostri timori e di quello che non stiamo facendo per migliorarci.
Ma torniamo anche consapevoli di quello che è stato fatto di giusto e soddisfacente.
Torniamo con il cuore in fiamme che desidera solamente andare avanti, incuriosito dal domani, da ciò che avverrà.
Impavido. 

sabato 6 ottobre 2018

Pianto del cielo

Volevo parlare al cielo, ma era occupato.
Così ho parlato lo stesso, guardandolo mentre scaraventava il suo pianto sulla terra.
Non ha mai smesso, per tutto il tempo.
E io ho osservato. Ho ascoltato, perché molto si può imparare mentre si ascolta la pioggia, tutto si racchiude e si raccoglie in un attimo di ancestrale meraviglia.
Sotto la pioggia, nemmeno il silenzio è padrone.
Ho cercato risposte, alcune le ho trovate.
Ho odorato il suo profumo.
Il gelo è penetrato nelle narici e nelle ossa, ma che importa?
Era tutta vita.

Vita che tu, cielo, hai distrutto quell'infausta sera di febbraio.
Nevicava per le strade, nevicava nel mio cuore.
Mi hai tolto tutto ciò per cui ho sempre lottato e lavorato, mi hai sottratto l'amore, il pilastro, la figura per cui ogni sforzo aveva un senso.
Mi hai sottratto colui che non meritava di andarsene, non così; non meritava il gelido inverno.

Ora quel freddo è tornato, ma tu mi porti gioia sotto la pioggia.
Mi permetti di riprendere il sorriso. Perché non mi lasci sola sotto le tue lacrime.
D'improvviso sento calore, tepore; non più dolore, né solitudine.

Riprendo colore.

Forse non per sempre, ma almeno un po', cielo, piangi ancora.

martedì 7 agosto 2018

La fata d'estate il Fauno


Nessuno poteva vederli, in quel luogo segreto di cui solo Lei, fata d'estate, conosceva la strada per raggiungerlo.
«Che cosa vedi?» chiese, indicando il cielo.
Lui sorrise, con quel fare spavaldo tipico dei fauni, lo sguardo furbo e al contempo docile delle creature del bosco. «E' un pianeta. Rosso. Sembra insanguinato»
«E' la Luna. Rossa. Sembra innamorata.» sibilò la fata, senza smettere di guardare l'astro con quegli occhi grandi, lungimiranti, che sapevano osservare l'inosservabile.
Egli scosse la testa, senza perdere quel fare beffardo. 
Beffardo ma incredibilmente bello.
Le mani si unirono e poco a poco s'avvicinarono i corpi.
«Arriverà l'autunno, piccola fata. Con sé si porterà via il calore del sole. I boschi perderanno le foglie, non potrai più nasconderti, non ci sarà alcun tepore a scaldarti. Come farai?»
Ella appoggiò la tempia sulla spalla del fauno.
«Allo stesso tempo, giungerà l'inverno e sulla tua tana scenderà la neve, geleranno gli alberi e non avrai più frutti da cogliere e sarai costretto a vagare a lungo alla ricerca di cibo. Mio caro fauno, chi fra i due è più in pericolo?»
Le dita, forti e maschili, risalirono sul collo diafano dell'eterea fanciulla. 
«Eternamente in pericolo. Minacciati dalla fame, dal gelo... dalla carne.»
«Sopravvivremo mai?»
L'abbraccio fu docile, donato con la semplicità dello scorrere dell'acqua in un ruscello.
Lei odorava di fiori, lui di muschio e resina di pino.
«Sopravvivremo» dichiarò il fauno, a voce bassa. «Non c'è altra soluzione.»
«Come fai a esserne così sicuro?»
S'incontrarono gli sguardi. «Abbiamo ancora molte lune e troppi pianeti insanguinati e innamorati da guardare, mia piccola fata d'estate. Molti e troppi. Non è questo il momento di guardare in basso.»
Le afferrò docilmente il mento e la indusse a sollevare gli occhi sulla volta celeste.
E mentre ella fissava le stelle, il fauno indovinava le sue labbra. 

domenica 1 luglio 2018

La Poiana

Una Poiana gridò.
Nulla poteva sfuggire alla sua vista minuziosa, in grado di scorgere anche il più piccolo dettaglio sulla Madre Terra.
Ella planò.
Il vento spirava sulle ali rapaci; le permetteva di scivolare oltre le nuvole, sospesa, incurante del Vuoto sotto di sé.
Non provava timore.
Era nata per volare libera.
La Signora dei Cieli.
Osservava il mondo da quell'altitudine, imprendibile, invincibile. Poteva vedere chi si accorgeva di lei; piccoli esseri umani il cui ingegno non bastava per fermarla.
Spirito Guida per gli animi perduti.
Il suo grido come un monito, e una promessa.
Quella promessa.
Guardò negli occhi la donna che la cercava fra le correnti e le brezze, oltre le fronde, sopra ogni cosa; sopra tutto il resto... infine lasciò che l'Aria stessa la trasportasse altrove.
Laddove sarebbe stata libera per sempre.

lunedì 1 gennaio 2018

Niente Propositi



Non voglio prendermi in giro da sola.
Il 2017 è stato un anno pesante e difficile sotto molti aspetti e il 2018 si appresta ad essere ancora più duro.
Sarei soltanto un'ipocrita se millantassi l'Anno Nuovo come qualcosa di grande e importante: lasciatemelo decidere a dicembre, al prossimo Capodanno.
Nella marea di esperienze, ho capito tante cose, durante il 2017, ma nulla è stato più evidente della conferma che fare da sé, fa per tre.
Ho capito di essere satura delle persone che non fanno altro che pretendere una Nagra diversa.
Ci hanno provato, a farmi cambiare. Ad avere la prepotenza di dirmi, a gesti e parole, che sono io quella che dovrebbe cambiare.
Ci hanno provato a trattenermi, a legarmi.
Hanno provato a convincersi di una Nagra che non esiste.
E sono immensamente felice di esserne uscita fuori, ancora una volta, da sola, senza tenermi le zecche addosso.
Gente che non fa altro che succhiare il mio sangue senza nemmeno provare vergogna.
Sono felice che questo anno sia iniziato senza nessuno a cui dover giurare amore imperituro.
Sono felice di aver iniziato senza la famiglia.
Sono felice di aver affrontato la notte in auto per un festa diversa, una situazione nuova, autonoma.
Sono felice di questo e nessuno mi farà cambiare idea.

Non ho propositi per l'Anno Nuovo, ma solo una promessa: NESSUNO succhierà più il mio sangue.